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I lieviti sono funghi microscopici di fondamentale importanza. Ma come sono fatti? E quali sono le applicazioni? Nell’articolo ne approfondiremo le caratteristiche, gli impieghi e le eventuali controindicazioni d’uso.
I lieviti sono microrganismi unicellulari, appartenenti al regno dei funghi, le cui dimensioni si aggirano intorno ai 5-8μm.
Alcuni lieviti utilizzano esclusivamente la respirazione aerobica, altri, utilizzano un processo diverso chiamato fermentazione.
Dal punto di vista strutturale, le cellule di lievito sono molto simili alle nostre, con la differenza che sono più piccole e dotate di un rivestimento esterno (la parete cellulare o tunica) che conferisce loro forma e rigidità.
La tunica, infatti, è costituita dallo stesso polimero che forma l’esoscheletro degli insetti (la chitina), le cui fibre intrecciate si connettono a catene di glucosio (glucani) e mannosio (mannani). Completano l’opera i lipidi e le proteine, che formano dei legami (i ponti disolfuro) che incrementano ulteriormente la resistenza della struttura.
Questi microrganismi si riproducono per gemmazione, che consente di generare un organismo a partire da un solo genitore (riproduzione asessuata). Durante il processo si forma una piccola protuberanza, la gemma, che in un secondo momento si stacca dando origine ad una cellula indipendente, più piccola rispetto alla madre; nel punto di distacco, inoltre, si forma una cicatrice costituita da un anello di chitina, in corrispondenza della quale non potrà più avvenire la gemmazione.
A seconda che la riproduzione avvenga da un lato (monolaterale), su due lati (bilaterale) o su più lati (multilaterale), le cellule figlie acquisiranno una forma differente (a limone, a pera, sferiche, ellittiche, globulari) e, qualora il processo sia difettoso, si formeranno le pseudoife.
Le pseudoife sono lunghe catene di cellule allungate e assottigliate, unite le une alle altre da giunzioni molto deboli, destinate quindi a sfaldarsi. Tra i lieviti in grado di formarle, ad esempio, abbiamo: Schizosaccharomyces pombe, Saccharomyces pastorianus e varie specie di Candida.
Quelli che abbiamo appena visto sono i lieviti in senso stretto ma, oltre ad essi, esistono delle sostanze che per le loro funzioni vengono classificate come tali.
I lieviti vengono comunemente suddivisi in naturali e chimici, sebbene questa terminologia non sia del tutto corretta: anche i lieviti chimici, infatti, sono naturali, solo che per questioni economiche si preferisce sintetizzarli. Per questo motivo, sarebbe più corretto parlare di lieviti biologici e lieviti chimici.
Nella categoria dei lieviti biologici sono inclusi sia i lieviti propriamente detti, sia i substrati in cui si sviluppano questi microrganismi.
I lieviti propriamente detti più comuni sono i saccaromiceti, infatti, vengono utilizzati nella produzione di vino, birra e prodotti da forno, ma anche sotto forma di integratori alimentari.
La pasta madre, invece, è un impasto di acqua e farina, che, lasciato fermentare, sviluppa, oltre ai lieviti, anche i batteri lattici, che conferiscono ai prodotti da forno un aroma particolare.
I lieviti chimici sono composti inorganici molto utili nella preparazione dei dolci. Tra questi il più importante è il carbonato acido di sodio, un composto alcalino che viene associato ad uno o più composti acidi, come il bitartrato di potassio e il difosfato disodico, per far avvenire la lievitazione dell’impasto.
Tutti i tipi di lieviti vengono ampiamente utilizzati in campo alimentare per la preparazione di vino, birra e di molteplici prodotti da forno e non solo. Vediamo più nel dettaglio quali sono le principali applicazioni dei diversi tipi di lieviti, partendo da quelli dei biologici.
Fra gli impieghi più antichi vi è, sicuramente, la preparazione del vino. I lieviti, infatti, sono in grado di convertire gli zuccheri presenti nel mosto in etanolo (il comune alcol) attraverso la cosiddetta fermentazione alcolica. I microrganismi coinvolti sono molteplici, almeno quando si ha a che fare con la fermentazione spontanea.
I Lieviti enologici sono di vario tipo, i lieviti selvaggi presenti nelle bucce d’uva, depositati dagli insetti o dal vento, che avviano la fermentazione a seguito della spremitura sono:
I lieviti da vino possiedono ottime caratteristiche tecnologiche, che li rendono fondamentali nella produzione vinicola. Tra essi troviamo:
Altri lievitio responsabili delle alterazioni del vino sono:
Alcuni produttori, tuttavia, preferiscono optare per la fermentazione controllata, in modo da predirne gli esiti. Il processo prevede l’inoculazione nel mosto di una coltura starter, cioè uno o più ceppi di lieviti selezionati che prendono il sopravvento sugli altri, influenzando quindi le caratteristiche del vino. Le colture starter sono reperibili allo stato fresco, essiccato, liofilizzato o in pasta, e contengono spesso e volentieri ceppi di S. cerevisiae.
Il mosto di malto d’orzo viene convertito in birra attraverso la fermentazione alcolica, attuata da colture di saccaromiceti, in forma liquida o liofilizzata. Le specie più utilizzate sono:
In un particolare tipo di birra, detta lambic, si sfrutta invece la fermentazione spontanea del mosto, attuata dai lieviti selvaggi (più di 80 specie, tra le quali annoveriamo Brettanomyces lambicus e bruxellensis).
La preparazione dei prodotti da forno, quali: pane, pizze, focacce e dolci di vario genere, rappresenta un altro importante impiego dei lieviti (perlomeno nella nostra tradizione). La scelta del lievito più adatto, in questo caso, può ricadere tra: lievito di birra, pasta madre e lieviti chimici.
Si tratta del ben noto Saccharomyces cerevisiae, che può essere utilizzato fresco, secco od istantaneo per la produzione di pane, pizze e focacce. In particolare:
Come abbiamo anticipato, la pasta madre è un impasto di acqua e farina lasciato fermentare naturalmente o, tutt’al più, con l’aggiunta di yogurt (ricco in fermenti lattici) e succo di uva o mela (ricchi di lieviti). Da ciò ne consegue che, oltre ai lieviti, si svilupperanno anche altri microrganismi, come i batteri lattici. La presenza di questi ultimi influenza in modo determinante le caratteristiche del prodotto finito, in quanto:
La pasta madre è l’ideale per la preparazione di dolci, quali: panettone, pandoro, croissant, brioches e cornetti, e pane tipico come quello di Altamura, Lentini e Castelvetrano; benché tornata di moda negli ultimi tempi, tuttavia, il suo impiego rimane comunque limitato, innanzitutto perché conferisce un aroma molto particolare, non sempre gradito, e poi perché richiede tempi di preparazione lunghissimi, durante i quali sono necessari continui rinfreschi; se la fermentazione si protrae a lungo, inoltre, si ha l’accumulo di acido acetico, che conferisce un sapore sgradevole al prodotto.
Giungiamo, infine, alla categoria dei lieviti chimici: sostanze inorganiche che, reagendo tra loro, sviluppano anidride carbonica, provocando il rigonfiamento dell’impasto durante la cottura. Tra i più utilizzati abbiamo il carbonato acido di sodio (E500) e il difosfato disodico (E450), contenuti nel Bertolini e nel Paneangeli insieme all’amido, avente il compito di:
Il lievito chimico è l’ideale per la preparazione di pastelle (che non sono in grado di trattenere le bolle di anidride carbonica) e dolci, nei quali l’uso di quelli biologici potrebbe conferire sapori troppo forti; esso, inoltre, fa lievitare più rapidamente l’impasto e ne alleggerisce la consistenza.
Ma gli usi dei lieviti non si limitano a quelli finora elencati: essi, infatti, rientrano nella composizione di svariati integratori alimentari, con proprietà e benefici dipendenti dalla specie utilizzata:
S. cerevisiae, per la sua ricchezza in vitamine, sali minerali e aminoacidi, contrasta l’affaticamento psicofisico dovuto ad una carenza di tali nutrienti.
In particolare:
Il Saccharomyces cerevisiae rinforza unghie e capelli fragili, associati a carenze nutrizionali o alla gravidanza, contrastandone la caduta e la rottura.
Esso, infatti, contiene:
Il lievito di birra rallenta la formazione delle rughe, grazie al contenuto in selenio e vitamina B3.
Il lievito di birra, grazie alla vitamina B3 e alla colina, regola la secrezione sebacea, risultando utile in caso di pelle grassa, dermatite seborroica e acne; esso, inoltre, contrasta lo sviluppo dello Staphylococcus aureus, un batterio causante infezioni e infiammazioni cutanee.
S. cerevisiae invece, può essere d’aiuto in caso di pelle ruvida ed opaca, grazie al contenuto in vitamine, sali minerali ed aminoacidi.
Il lievito di birra, inoltre, possiede effetti antianemici in quanto fonte di vitamine B9 e B12, fondamentali per la produzione di globuli rossi sani.
Studi dimostrano che S. boulardii previene e contrasta la diarrea dovuta agli antibiotici, all’alimentazione con sonda gastrica o ad infezioni contratte in viaggio, come conseguenza di uno squilibrio della flora intestinale in favore dei patogeni (Fitoterapia razionale, Schulz - Hänsel - Tyler).
I meccanismi ipotizzati sono molteplici, ovvero:
In questi casi, il lievito può essere assunto sotto forma di tavolette da deglutire con acqua o bustine idrosolubili, con un dosaggio dipendente dal tipo di lievito e dal disturbo trattato. In linea generale, comunque, le dosi variano dai 250-500 mg/die per S. boulardii, ai 900-1800 mg/die per S. cerevisiae.
Il lievito di birra, tuttavia, non fa ingrassare, e può essere consumato durante le diete dimagranti:100g, infatti, apportano solo 10 5kcal.
Abbiamo visto cosa sono, a cosa servono e come agiscono: ma il consumo dei lieviti comporta dei rischi? Difficile rispondere, perché sull’argomento ci sono versioni contrastanti. Se da un lato, infatti, ci sono persone che sostengono di sentirsi male dopo l’ingestione, dall’altro, invece, non esistono evidenze scientifiche che lo dimostrino. Ma quali sono i sintomi accusati da queste persone?
Tra le manifestazioni più comuni di quella che viene - erroneamente - definita intolleranza al lievito, vi sono i disturbi gastrointestinali:
Ma anche sintomi aspecifici, non necessariamente dovuti al lievito, quali:
Il consumo, pertanto, è controindicato:
Al momento, l’unica strategia disponibile per aggirare il problema è quella di evitare o ridurre al minimo l’assunzione di cibi e bevande, oltre che di integratori, a base di lievito. Ma non solo: c’è chi sostiene che debbano essere rimossi anche gli alimenti fermentati, nei quali possono persistere alcuni metaboliti secondari. Vediamo alcuni esempi!
Alimenti da evitare: contengono naturalmente lieviti o sono stati ottenuti con la fermentazione fungina:
Alimenti consentiti: non contengono lieviti o sono stati ottenuti con la fermentazione attuata da altri microrganismi:
Se pensi di essere intollerante al lievito, tuttavia, non prendere decisioni di tua iniziativa, ma consulta il medico o un buon nutrizionista.
L’articolo, infatti, ha uno scopo puramente illustrativo e non è - né vorrebbe esserlo - una prescrizione.
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