I disturbi alimentari includono anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo del comportamento alimentare non altrimenti specificato. Analizziamone cause e sintomi e scopriamo quali sono le possibili terapie per riacquistare un corretto stile alimentare e non incorrere in gravi conseguenze
I disturbi dell’alimentazione o disturbi del comportamento alimentare costituiscono una categoria diagnostica che si caratterizza in maniera molto forte per la presenza di sintomi autodistruttivi quali l’eccessiva ingestione di cibo, il rifiuto dell’alimentazione, l’assunzione di farmaci anoressizzanti o di purghe, la messa in atto di comportamenti potenzialmente pericolosi quali l’induzione del vomito.
Quelli appena citati non sono di certo gli unici sintomi che caratterizzano i disturbi alimentari anche se rappresentano forse i comportamenti disfunzionali maggiormente noti al grande pubblico perché frequentemente associati ad anoressia nervosa e bulimia, i due principali e più gravi disturbi che rientrano all’interno di questa categoria nosografica.
Secondo la classificazione del DSM-IV-TR (Diagnostic and statistical manual of mental disorders – IV – Text Revision), versione aggiornata della quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi psichiatrici dell’American Psychiatric Association, i disturbi del comportamento alimentare includono in effetti anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo del comportamento alimentare non altrimenti specificato.
L’aggettivo “nervosa” associato ad anoressia e bulimia, in modo specifico, segnala che si tratta di due condizioni patologiche che hanno una chiara origine psicogena: perdita di appetito o aumentato appetito con conseguente ingestione di grandi quantità di cibo, infatti, caratterizzano anche quadri patologici diversi che, a differenza dei disturbi alimentari, non hanno un’origine psicologica e non si caratterizzano per dinamiche psicologiche specifiche.
Ciò precisato, dopo una sintetica descrizione delle caratteristiche psicosociali che sono frequentemente associate ai soggetti che possono sviluppare un disturbo del comportamento alimentare, verranno descritti i quadri sintomatologici che connotano anoressia e bulimia ed altri disturbi che stanno recentemente diffondendosi descrivendo condizioni patologiche meno gravi e forse meno chiaramente definite ma comunque merita attenzione.
Si dice spesso che i disturbi alimentari sono patologie per eccellenza della nostra epoca: i media ci bombardano di immagini di donne belle e magre che sembrano incarnare la quintessenza della felicità, condizione che non sembra raggiungibile in assenza di un aspetto gradevole e rispondente a precisi canoni estetici. Nelle società occidentali, dove il cibo e la sua disponibilità non rappresentano certo un problema ed è facile essere in sovrappeso, il corpo magro sembra essere diventato l’unico caratterizzato da sensualità e capace di attrarre l’altro e conquistarlo. Per coloro i quali non rispondano a canoni di bellezza esteriore codificati sembra non esserci altro che un baratro di tristezza e solitudine: l’aspetto esteriore sembra contare molto di più dell’identità interiore.
Queste considerazioni sembrerebbero confermare il dato che quelli alimentari siano dei disturbi della nostra epoca e delle società industrializzate: nei paesi poco sviluppati, non a caso, anoressia e bulimia sono condizione sconosciute e chi ne soffre tende ad essere di razza caucasica, di sesso femminile (gli uomini costituiscono solo il 5-10% dei casi), di cultura occidentale, ben istruito ed economicamente benestante. Tipicamente, inoltre, il disturbo compare durante l’adolescenza o nella prima età adulta, momenti critici perché associati a profonde trasformazioni corporee che, segnando la crescita e lo sviluppo della propria femminilità, possono evidenziare condizioni di malessere radicate e già esistenti.
La prevalenza dei disturbi dell’alimentazione nei soggetti così descritti è un indicatore importante del fatto che anoressia e bulimia sono “figlie” del periodo socio-culturale che stiamo vivendo. Le caratteristiche socio-culturali, però, non sono gli unici aspetti importanti nell’insorgenza del disturbo: fattori biologici ed intrapsichici non devono essere trascurati e giocano un ruolo rilevante.
Quali sono però i sintomi e le manifestazioni di queste malattie? Quali i meccanismi psicologici e le dinamiche intrapsichiche e familiari che ne favoriscono l’insorgenza? E quali, infine, le terapie e gli interventi di trattamento possibili?
Letteralmente la parola “anoressia” indica l’assenza di appetito. L’anoressia nervosa, però, piuttosto che per l’inappetenza si distingue per la ricerca spasmodica e potenzialmente pericolosa del raggiungimento di un ideale di magrezza che si rivela progressivamente irraggiungibile: la paura di ingrassare regna sovrana e le progressive diminuzioni del peso corporeo sembrano non bastare mai poiché si vuol diventare sempre più magri. Le persone affette da anoressia nervosa, quindi, non perdono l’appetito e per questo non mangiano ma, piuttosto, non si alimentano perché hanno la fobia di ingrassare.
Accanto a questi aspetti caratteristici, altri sintomi aiutano a porre la diagnosi di anoressia nervosa:
Questi sintomi possono frequentemente comparire in concomitanza con l’inizio di una dieta ipocalorica anche se spesso l’esordio è più nascosto: la persona continua a mangiare salvo poi rimettere il cibo inducendosi il vomito oppure mente dicendo di aver mangiato quando in realtà non si sta alimentando.
Frequenti sono anche le condotte sportive compulsive: il soggetto può continuare a mangiare anche se mette in atto dei comportamenti che possono aiutarlo a smaltire le calorie assunte. Al loro interno, per esempio, numerose attività sportive praticate anch’esse in maniera spasmodica e compulsiva: ore ed ore di corsa, bicicletta o palestra sembrano essere l’unica soluzione per diminuire l’assunzione di calorie anche quando si è assunta una quantità di cibo veramente irrisoria.
Già dalle prime fasi dell’evoluzione dell’anoressia nervosa, essa si accompagna ad una mancanza di consapevolezza di malattia che rende difficile ogni tipo di intervento e di aiuto.
Nelle fasi successive, inoltre, può comparire accanto al marcato dimagrimento anche un certo ritiro sociale, con compromissione anche della vita scolastica e dell’ambito lavorativo. Non è raro, poi, che l’anoressia nervosa si accompagni ad altri disturbi psicologici: frequente è la diagnosi parallela di un disturbo dell’umore quale la depressione, o del cosiddetto disturbo ossessivo-compulsivo di personalità che si caratterizza, oltre che per possibile ideazione ossessiva e condotte compulsive, per alcuni tratti quali il perfezionismo che si accompagna all’attenzione estrema verso i particolari, a una certa rigidità caratteriale, all’isolamento dell’affetto, alla rabbia come sentimento prevalente e all’aggressività repressa.
Il disturbo ossessivo-compulsivo, in modo specifico, accompagna spesso uno dei due sottotipi di anoressia descritti in letteratura, il cosiddetto “restricter”, caratterizzato da dieta, digiuno ed attività sportiva intensa alla quale sembra impossibile sottrarsi se non a costo di stare male accusando quasi un sentimento di morte che sembra mettere a repentaglio la propria integrità fisica. Accanto a questo sottotipo, il cosiddetto “bulimico” si connota per periodiche abbuffate cui fa spesso seguito l’assunzione di farmaci lassativi o che hanno tra gli effetti collaterali l’induzione del senso di nausea, così che sia facilitata l’espulsione del cibo tramite il vomito.
Visto questo complesso quadro sintomatologico, è lecito chiedersi qual è l’esito di una simile patologia. Rispondere a questa domanda significa sottolineare che l’ostacolo più grande risiede, in primo luogo, nell’assenza di consapevolezza di malattia e, in secondo luogo, nella dispercezione corporea che consiste nella percezione di dimensioni corporee non corrispondenti a quelle effettive. Quest’ultima condizione, se presente, è associata ad una prognosi meno felice: se presa in tempo e trattata efficacemente, l’anoressia può risolversi in breve tempo anche se nella maggior parte dei casi si osserva una serie di remissioni e di esacerbazioni della patologia.
Non è poi possibile trascurare che la cronicizzazione avviene nel 35% dei casi diagnosticati e che l’esito più negativo, la morte, compare nel 5-20% dei soggetti. L’anoressia, infatti, può associarsi a complicanze dismetaboliche dovute alla prolungata denutrizione: i disturbi internistici sono all’ordine del giorno e la carenza di nutrienti essenziali, sali minerali e vitamine quali l’acido folico, si ripercuote negativamente non solo sull’aspetto fisico (denti ingialliti e facilmente cariabili, pelle poco luminosa, perdita di capelli, unghie che si spezzano, osteoporosi, eccetera) ma anche sul generale stato di salute con la possibilità di andare incontro a problematiche cardiache, squilibri elettrolitici, problemi renali, disfunzioni ormonali.
In un certo numero di situazioni, inoltre, al di là delle carenze nutrizionali e dei problemi metabolici un esito infausto può anche essere dovuto a un tentativo suicidario riuscito: le condotte autolesionistiche che si concretizzano in un suicidio sono frequenti nei quadri sintomatologici più gravi ed estremi, in modo particolare nei quadri che si caratterizzano per la presenza di umore depresso.
Negli ultimi decenni si è compreso molto dell’anoressia nervosa e dei meccanismi psicologici e dinamici che portano alla sua insorgenza. Comprendere la complessità di questa malattia, intanto, ha comportato la necessità di capire che essa è un disturbo profondo del concetto di sé rispetto al quale la preoccupazione per il proprio peso e la propria immagine sono manifestazioni in un certo senso marginali.
La malattia si manifesta spesso nelle classiche “brave bambine”, adolescenti che, dopo aver compiaciuto in tutto e per tutto i propri genitori, diventano all’improvviso oppositive e scontrose. Normalmente un atteggiamento di estremo compiacimento nei confronti dei genitori nasconde un profondo senso di inutilità e la conseguente sensazione di essere impotenti ed inefficaci. L’autostima è piuttosto bassa ed il riuscire a controllare in maniera ferrea il corpo ed il peso sono delle modalità grazie alle quali il soggetto si dice e dice agli altri di essere un individuo capace ed efficace. Prima della diffusione crescente della malattia, inoltre, il comportamento della paziente anoressica poteva essere inteso come un tentativo di dimostrare la propria unicità ed il proprio essere speciale, tentativo che attualmente può essere portato a termine solo se si riesce ad essere la più magra in assoluto con tutte le conseguenze negative del caso. Come si sedimenta, però, questo quadro complesso di vissuti patogeni?
Un ruolo centrale è giocato dalle relazioni che caratterizzano il nucleo familiare del soggetto, generalmente cresciuto all’interno di una famiglia in cui il padre sembra essere assente ed il rapporto con la madre sembrerebbe essere gravato da una sorta di ipoteca tale per cui le cure primarie verrebbero fornite in funzione dei propri bisogni piuttosto che da quelli del figlio o, più frequentemente, della figlia. In un quadro simile, il bambino diventerebbe una sorta di appendice del genitore che non verrebbe percepito come un individuo singolo caratterizzato da bisogni, desideri, vissuti propri. Da questo modello di cure, quindi, si svilupperebbero quei comportamenti improntati alla compiacenza di cui si è detto e descrivibili nei termini di un falso sé patologico. Tipicamente, inoltre, le famiglie dei soggetti anoressici, senza grosse differenze tra pazienti maschi e femmine, sarebbero caratterizzate anche da una generale incapacità di contenere le ansie dei figli e dalla tendenza a riversare su di essi le proprie. Sarebbe questo tipo di vissuto a favorire nel bambino un sistema di difesa del tipo “vietato entrare” che spiegherebbe il rifiuto del cibo.
Un altro elemento caratterizzante le famiglie di anoressici tipo, inoltre, è la mancanza di confini generazionali e personali, dato da ricollegare a quanto detto a proposito del fatto che il figlio si trasforma in una sorta di appendice della madre: i ruoli sono confusi e non si sa mai chi è a volere cosa.
Da quanto è già stato detto emerge con chiarezza la necessità di un trattamento psicologico del paziente anoressico,in molti casi la sola terapia può non essere sufficiente e può rivelarsi necessario ricorrere all’ausilio di sostanze naturali o farmaci per stabilizzare e normalizzare la situazione.
Per quanto riguarda le situazioni ad uno stadio iniziale, o che comunque non presentano particolari danni fisici si può pensare di accompagnare la psicoterapia a trattamenti di supporto naturali che possono ridurre l’intensità e la frequenza di alcuni sintomi che caratterizzano i quadri patologici descritti: rimedi omeopatici e fitoterapici, agopuntura, ipnosi, possono essere dei validi coadiuvanti di interventi e trattamenti più incisivi.
La terapia farmacologica deve essere sempre e comunque prescritto da uno psichiatra che deve monitorare il percorso e valutare l’efficacia del trattamento. Soprattutto nei casi in cui il paziente sia affetto da un disturbo ossessivo compulsivo o da un disturbo dell’umore si basi sull’assunzione di psicofarmaci avanti un effetto antidepressivo.
Ciò vale a maggior ragione qualora sia presente rischio suicidario, condizione che suggerisce anche la necessità di un ricovero in ospedale. Anche in questo caso infatti, sotto la supervisione di uno psichiatra, il paziente potrebbe beneficiare dell’assunzione di psicofarmaci che prendono il nome di “antipsicotici atipici”, prodotti che contengono molecole che sono in grado di intervenire sulle dispercezioni dell’indivuduo migliorandone anche il generale funzionamento cognitivo e contribuendo a stabilizzarne il tono dell’umore.
Vista la rilevanza di dinamiche familiari disfunzionali, inoltre, non è da sottovalutare l’importanza che in terapia si rechino anche genitori ed eventuali fratelli del paziente: se la malattia è il frutto di dinamiche distorte, non è difficile comprendere come sia necessario individuare equilibri familiari patologici ed intervenire su di essi modificandoli.
Per quanto riguarda il tipo psicoterapia consigliato, ad una terapia individuale e familiare possono essere affiancati dei trattamenti di gruppo: inserire la paziente o il paziente all’interno di gruppi terapeutici in cui tutti i partecipanti sono portatori dello stesso disturbo e degli stessi sintomi, può potenziare gli effetti degli altri percorsi di trattamento psicologico favorendo anche l’accettazione della malattia e la sua presa di coscienza.
Si tratta di proposte terapeutiche che, nel loro complesso, sono quelle maggiormente raccomandate dall’Aba, associazione italiana per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la bulimia e i disordini alimentari, che, grazie a diversi centri nella penisola, si occupa della presa in carico del soggetto anoressico o bulimico a 360 gradi e propone il ricovero in strutture specializzate in cui chi sia sufficientemente motivato possa seguire un percorso di cura personalizzato. In tutti i percorsi di tipo psicoterapico, in effetti, la motivazione è il fattore chiave per ottenere dei risultati: nessuno potrà guarire se non decide di impegnarsi in prima persona e se la motivazione non viene prima stimolata e poi mantenuta nel tempo.
Un’ultima opzione terapeutica è quella ospedaliera. Si tratta dell’alternativa cui ricorrere nelle situazioni più gravi: se c’è rischio di suicidio, come già detto, se l’ambiente familiare ostacola il processo di cura, oppure se le condizioni di salute del paziente sono ormai compromesse così che la sua morte non è più un’eventualità remota. Seguire il paziente in ospedale, per esempio, è fondamentale quando questi si rifiuta di nutrirsi in misura sufficiente e si deve ricorrere all’alimentazione forzata.
La bulimia è un disturbo alimentare che si caratterizza dalla presenza di episodi durante i quali il soggetto è pervaso da un impulso improvviso ed irrefrenabile a mangiare tutto il cibo a sua disposizione: durante le abbuffate compulsive il bulimico può assumere grandi quantità di cibo ingerendo senza soluzione di continuità alimenti dolci ed ipercalorici come il cioccolato, oppure salati. Questo genere di abbuffate, durante le quali si può arrivare a mangiare addirittura chili di alimenti per un apporto calorico di 5000 Kcal e oltre, vengono denominate binge eating.
Le abbuffate compulsive non sono ovviamente dettate da fame: rappresentano un modo per placare l’ansia avvertita dal soggetto in caso di situazioni per lui emotivamente difficili da gestire e che, non raramente, possono esitare in veri e propri attacchi di panico. In realtà, si tratta di soluzioni assolutamente inadeguate visto che, se un’angoscia difficilmente placabile è alla loro origine, una simile emozione sarà sostituita alla fine da un pesante senso di colpa per aver ingerito una quantità di cibo che comprometterà la propria dieta e metterà a rischio la propria immagine corporea.
La bulimia nervosa è stata a lungo considerata una forma grave di obesità o una patologia non distinguibile dall’anoressia e, solo recentemente essa ha acquisito lo status di malattia autonoma caratterizzata da una sua identità specifica ed in quanto tale distinguibile dall’anoressia.
Accanto ai ricorrenti episodi di assunzione massiccia di cibo in breve tempo (in media due volte a settimana per almeno tre mesi), sono frequentemente rilevate:
Come nel caso dell’anoressia si tratta di un disturbo che ha una netta prevalenza nelle donne e che emerge in genere nell’adolescenza o nella prima età adulta. A differenza degli anoressici, però, i soggetti bulimici sono in genere normopeso o solo leggermente sovrappeso: nonostante le abbuffate patologiche, infatti, la messa in atto di comportamenti volti a mantenere il controllo del corpo riesce a compensare l’assunzione di calorie.
Non meno gravi che nell’anoressia possono essere gli esiti associati ad un disturbo bulimico: anche in questo caso è forte la tendenza a cronicizzarsi ed il rischio suicidario non è assente.
Danni all’apparato digerente. Sul piano della salute fisica, inoltre, si possono avere complicazioni a carico dell’apparato digerente: poiché è frequente l’induzione del vomito, non è da sottovalutare l’effetto corrosivo ed irritante che il reflusso gastrico acido ha sui tessuti della bocca, della gola e del canale esofageo. Frequenti sono gastrite, gonfiore e bruciore e non è irrilevante, inoltre, l’impatto che l’ingestione di grandi quantità di cibo può avere sul fegato, costretto a metabolizzare quantità eccessive di alimenti spesso ricchi di grassi.
Effetti sugli organi. Oltre che sul fegato le abbuffate possono avere risvolti importanti sulla salute anche di altri organi interni, cuore e pancreas compresi. l’assunzione di grandi quantità di cibo, e la conseguente induzione del vomito associata spesso all’uso di lassativi, infatti, determina un cronico stato di irritazione delle mucose gastriche ed un generale affaticamento dell’organismo sottoposto a sollecitazioni continue e difficili da sopportare.
Effetto sul cuore. Per quanto riguarda le complicazioni di tipo cardiovascolare,nel dettaglio, è noto come la bulimia possa essere all’origine di scompensi elettrolitici così gravi da comportare l’arresto cardiaco.
Disturbi metabolici. viste le sollecitazioni a carico del pancreas e la grande quantità di zuccheri e carboidrati assunta durante le abbuffate disturbi metabolici quali il diabete, infine, possono rappresentare una possibilità non remota. Non vanno sottovalutati neanche i danni che l’ingerire ed eliminare quantità di cibo considerevoli in un lasso di tempo ridotto possono avere sul corretto funzionamento della tiroide.
La dipendenza dal cibo. Per concludere questo paragrafo, infine, è possibile rilevare che la bulimia è considerabile come una forma di dipendenza dal cibo e che essa può essere associata ad altri disturbi psicopatologici, in modo particolare disturbi di personalità: l’assunzione incontrollata di cibo e l’utilizzo di purganti non sono in genere problematiche isolate ma, piuttosto, coesistono con altri disturbi nel controllo degli impulsi quali quelli inerenti la sfera della sessualità o l’abuso di molteplici sostanze.
La bulimia viene spesso considerata l’altra faccia dell’anoressia anche se è fondamentale comprendere che ci sono notevoli differenze tra i due disturbi. Solo a titolo esemplificativo, si potrebbe ricordare come siano profondamente diversi l’autocontrollo e la disciplina dell’anoressico dalla perdita di controllo e dall’impulsività del bulimico.
Le diversità, però, non si limitano solo a questo aspetto ma riguardano anche le storie personali e familiari dei soggetti bulimici. Diversi studi hanno dimostrato che lo sviluppo di questa malattia è associato con problemi tra i genitori, esperienze di abuso fisico, autostima negativa. Un elemento accomunante, invece, è relativo al fatto che anche i genitori dei soggetti bulimici tenderebbero a considerarli un’estensione di se stessi con la conseguente difficoltà di distinguere ruoli e confini personali. Alcuni autori, per concludere, hanno inteso i comportamenti di ingestione di cibo come strategia per gestire la paura dell’abbandono da parte di soggetti che non hanno sviluppato un attaccamento sicuro alle figure genitoriali e che tendono a far rivivere alcune modalità relazionali apprese nell’infanzia anche nelle relazioni adulte. Proprio per questo motivo, quindi, non è difficile comprendere come tutti gli eventi di vita che possono comportare un abbandono sono vissuti come dei traumi potenzialmente in grado di scatenare acutizzazioni della malattia o ricadute.
Anche nel caso della bulimia nervosa sono valide le indicazioni precedentemente fornite per l’anoressia.Il percorso di guarigione quindi deve essere incentrato su una terapia, che anche in questo caso può essere individuale, familiare o di gruppo. La terapia psicologica deve essere supportata poi da rimedi naturali o nei casi più gravi da terapie farmacologiche che aiutino il soggetto a riprendere il controllo su se stesso e sulla propria vita. Va messo in evidenza però che rispetto all’anoressia nella bulimia è più frequente la concomitanza con importanti disturbi di personalità quali il borderline, l’abuso di sostanze o la depressione, il che rende spesso i percorsi terapeutici più difficili e più frequentemente necessaria l’ospedalizzazione del paziente visto che i tentativi di suicidio o le condotte autolesive sono delle possibilità concrete.
Sebbene anoressia e bulimia siano le più diffuse e senza dubbio le più conosciute, non si può dimenticare che esistono molte altre condizioni patologiche che investono i comportamenti alimentari. Queste vengono generalmente definite come: disturbo del comportamento alimentare non altrimenti specificato. Questa categoria nosografica è stata introdotta dai clinici al fine di raggruppare tutte le situazioni in cui è evidente che la persona sia affetta da una qualche forma di disturbo alimentare sebbene non sia possibile fare una diagnosi di anoressia o bulimia poiché i criteri diagnostici per queste patologie non risultano essere soddisfatti. All’interno del disturbo non altrimenti specificato, quindi, possono essere collocati tutti quei quadri patologici poco chiaramente connotati ma anche delle patologie emergenti quali l’ortoressia che si caratterizza per un controllo eccessivo sui cibi assunti e si concretizza nell’assunzione di soli alimenti ritenuti sani.
All’interno di questa categoria nosografica e diagnostica, quindi, potrebbero essere inclusi anche il disturbo da alimentazione incontrollata e la cosiddetta anoressia riversa o bigoressia, disturbi che sono prevalenti nel sesso maschile.
Disturbo da alimentazione incontrollata.Il primo, come è ovvio, si caratterizza per l’assunzione di quantità di cibo che eccedono il fabbisogno energetico quotidiano. Il perché di un simile comportamento alimentare è da mettere in relazione alla presenza di fame nervosa ed all’assunzione di cibo come calmante rispetto a situazioni di stress o ansia incontrollata. La principale differenza rispetto alla bulimia è che non per forza il soggetto ricorre a vomito o lassativi per espellere il cibo.
Bigoressia. Il secondo, invece, è un disturbo che si contraddistingue non tanto per l’ossessione circa il mantenimento del proprio peso corporeo ma per il mantenimento di una forma fisica ottimale e di una muscolatura scolpita. Non è un caso che si parli di dismorfia muscolare: il soggetto si impegna al massimo in estenuanti programmi di allenamento per scolpire il suo corpo che, nonostante gli sforzi, continua però ad apparirgli imperfetto. Si tratta di una condizione che è risultata spesso associata a calo del desiderio. Per questo motivo, la bigoressia è stata spesso associata ad omosessualità o bisessualità. Ad oggi, però, questa affermazione si è rivelata del tutto arbitraria poiché non sembra esserci alcun legame tra questa forma di anoressia al maschile e l’orientamento sessuale.
Sitofobia. Questo disturbo consiste nel rifiuto patologico del cibo che si verifica nell’ambito di un quadro psicopatologico di tipo psicotico, in cui il soggetto crede che il cibo possa in qualche modo danneggiarlo;
Disturbo da alimentazione notturna. Questa patologia si caratterizza per insonnia ed iperfagia notturna. Il soggetto quindi è colpito da raptus notturni che lo portano ad abbuffate compulsive che sono seguite, durante il giorno, dal rifiuto di alimentarsi.
Ortoressia. Questa particolare e poco nota forma di disturbo alimentare si caratterizza dall’ossessione del soggetto di alimentarsi in modo sano, il che lo porta a sviluppare nel tempo un vero e proprio rifiuto verso tutte quelle categorie di alimenti che lui non ritiene abbastanza sicure e controllate.
Un discorso a parte meritano i disturbi alimentari che si possono manifestare durante l’infanzia, età della vita in cui è molto raro che possa insorgere un disturbo dell’alimentazione in senso stretto. Forme di anoressia vera e propria, per esempio, hanno un’incidenza bassa e sono associate in genere a disturbi psicopatologici molto gravi ed invalidanti.
Ben più frequente, invece, la selettività nei confronti di alcuni cibi oppure, ancora, la manifestazione di riduzione dell’appetito e dell’assunzione di cibo in corrispondenza di momenti particolari dell’esistenza del bambino: lo svezzamento, un periodo di malattia, traslochi o trasferimenti, perdita delle principali figure di accudimento.
In momenti del genere possono verificarsi dei disturbi del comportamento alimentare vista l’elevata valenza simbolica del nutrirsi, valenza che fa sì che il bambino riceva dalle figure di accudimento cibo ma anche nutrimento emotivo ed amore, aspetto che spiega come certi equilibri possano essere turbati da alcuni importanti eventi di vita o da alcuni cambiamenti evolutivi che hanno un chiaro impatto sulla relazione tra genitori e figli.
Proprio per questo motivo, qualora dovesse verificarsi un disturbo del comportamento alimentare durante l’infanzia, potrebbe essere importante consultare il pediatra del bambino e chiedere, allo stesso modo, una consulenza psicologica allo scopo di individuare e modificare alcune dinamiche familiari che potrebbero rivelarsi disfunzionali. In tutti questi casi è importante un intervento tempestivo capace di evitare che certe situazioni o vissuti si cristallizzino esitando in una serie di problematiche più o meno gravi. Tra queste, per esempio, potrebbe essere inclusa una condizione che, per molti versi, è l’altra faccia della medaglia rispetto alla riduzione dell’appetito ed al rifiuto di alimentarsi, la tendenza a sovralimentarsi e la conseguente obesità infantile.
Alcune considerazioni conclusive, infine, possono essere dedicate agli approcci psicoeducativi che riconoscono un ruolo fondamentale al lavoro di equipe multidisciplinari dove, accanto a psicologi e psichiatri, altre figure possono fornire importanti contributi e consigli: nutrizionisti ed esperti in educazione alla salute possono trasmettere informazioni necessarie sugli alimenti e sulle esigenze del nostro corpo così da poter sviluppare un vero e proprio programma di educazione alimentare personalizzato basato sull’assunzione delle calorie necessarie al proprio fabbisogno energetico e di cibi sani. Si tratta di informazioni che, spesso, chi soffre di disturbi alimentari non conosce e la cui acquisizione può favorire e facilitare il percorso di cura. Conoscere alcune importanti nozioni di educazione alimentare, inoltre, è ancora più importante al fine di prevenire l’insorgenza dei disturbi alimentari.
Adeguati programmi educativi e di informazione, infine, possono rendere chiara la distinzione tra i disturbi del comportamento alimentare così come sono stati descritti finora ed altre condizioni patologiche che possono avere un impatto sulla forma fisica del soggetto, il suo peso ed il suo stato di salute. Ad esempio, non è possibile dimenticare come alcune malattie a carico della tiroide quali ipotiroidismo ed ipertiroidismo possono avere delle conseguenze sull’appetito e sul peso dell’individuo: la prima condizione patologica, infatti, può determinare un anomalo aumento di peso, la seconda un eccessivo dimagrimento non spiegabile con diete ipocaloriche. Allo stesso modo, anche un’intolleranza alimentare quale la celiachia può determinare un calo ponderale a causa della difficile assimilazione dei nutrienti.
Proprio per questo motivo, di fronte a variazioni del peso “inspiegabili”, non si deve pensare subito ad un disturbo del comportamento alimentare. È in effetti preferibile escludere con il proprio medico la presenza di una condizione patologica differente e di tipo organico, contemplando inoltre le fisiologiche variazioni dell’appetito e delle quantità di cibo assunte rispetto a diverse età o fasi della vita. Tutte le donne sanno che l’arrivo del ciclo è accompagnato dalla necessità di assumere cibi dolci, spesso in grande quantità, e conoscono anche le fluttuazioni di appetito e peso connesse con la gravidanza e il periodo immediatamente successivo al parto. Anche durante l’età anziana, poi, non è difficile assistere alla modificazione degli stili alimentari e alla comparsa di disturbi dell’appetito, problematiche ben note alla geriatria.
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