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Cosa accade quando si contrae la rosolia in gravidanza? Analizziamo i rischi di trasmissione al nascituro in base al trimestre durante il quale avviene il contagio ed i danni che può causare al feto. Vediamo cosa è necessario fare, quali sono i sintomi e quando è opportuno vaccinarsi per evitare il contagio.
La rosolia è una malattia infettiva, che generalmente colpisce i bambini ma se contratta in gravidanza può diventare pericolosa per la salute del nascituro. Infatti, se la mamma non è stata vaccinata o se non ha contratto in precedenza la malattia, in base al trimestre in cui viene contagiata, la rosolia può causare una serie di problemi più o meno gravi al feto o l’aborto.
I sintomi della rosolia in gravidanza sono pressoché simili alla sintomatologia comune, ma c’è sempre da tener presente che alcune forme lievi decorrono in modo subdolo e senza dare dei segni chiari della malattia.
Ed è questo l’aspetto più pericoloso in gravidanza: la donna non sa che ha contratto la malattia, in quanto non presenta i segni clinici evidenti della rosolia in atto.
Ad ogni modo i sintomi che devono allarmarci sono:
L’esantema compare nel 60 % dei casi, mentre nel 20 % dei casi può comparire solo la febbre con ingrossamento dei linfonodi. Quindi solo nella metà dei casi, la rosolia si presenta con tutte le sue caratteristiche tipiche, mentre nella restante percentuale può passare inosservata o confusa con un banale raffreddamento o influenza.
Oltre alla valutazione della sintomatologia, per una corretta diagnosi è necessario un prelievo di sangue per verificare la presenza o meno di anticorpi antirosolia.
Una parte del campione verrà analizzata alla ricerca di Ig (immunoglobuline) G e Ig M.
La presenza di Ig G indica che c’è stata un’infezione passata, per cui è il segno dell’immunità acquisita. In assenza di queste immunoglobuline, la donna non è protetta dalla malattia e potrà contrarla se viene a contatto con il virus.
La presenza di Ig M invece indica che la malattia è in atto, per cui l’infezione è presente e la donna ha contratto la rosolia da poco tempo.
L’assenza di Ig M indica che la malattia non è in atto per cui la donna gravida che sospetta di essere venuta a contatto con il virus dovrà ripetere il prelievo dopo un mese, confrontando il nuovo campione con parte di quello precedente.
Se nel secondo caso, compaiono le immunoglobuline, la patologia è in atto.
Se non compaiono, è necessario ripetere nuovamente il prelievo dopo 6 settimane per essere certi che la gravida non ha contratto la rosolia. Solo la negatività di questo terzo campione garantisce che non c’è stato alcun contagio e la futura mamma potrà stare tranquilla per la salute del bambino.
Se la diagnosi di infezione da rosolia è certa, cosa deve aspettarsi la futura mamma?
Molto dipende dal trimestre in cui la malattia viene contratta, sia per i danni che può causare sia per la percentuale di rischio di passaggio della rosolia da madre a figlio (trasmissione verticale), dato che il virus può passare al feto attraverso la placenta.
Nel dettaglio:
La placenta, dunque, se all'inizio della gravidanza funge da veicolo per la trasmissione, dopo la 18 settimana diventa una barriera efficace per cercare di contrastare il passaggio dell’infezione. Dunque si è maggiormente a rischio nel primo trimestre.
I danni che il virus della rosolia può causare all’embrione, come abbiamo detto, sono legati a doppio filo alla settimana in cui avviene il contagio.
Le patologie fetali causate dalla rosolia in gravidanza.
Infatti se la mamma si ammala entro le 12 settimane di gestazione, l’infezione è in grado di passare da madre a feto tramite la placenta, che in queste settimane non è ancora capace di arginare il passaggio del virus.
Questo può comportare una serie di patologie:
Abbiamo già visto che dopo le 18 settimane di gestazione e ancor di più dopo le 20 settimane, il rischio di infezione fetale scende, quasi fino ad azzerarsi.
Questo perché la placenta costituisce una vera e propria barriera difficile da superare.
Inoltre, se anche il virus riesce a superarla, la sindrome della rosolia congenita può non comparire o presentarsi con forme lievi e subcliniche, con effetti talvolta transitori, sebbene il virus potrà essere presente successivamente nelle urine del bambino anche dopo un anno dalla nascita (costituendo una sorta di fonte di contagio per le donne che non sono immuni).
Quindi, in generale, sono tre le situazioni che si possono presentare:
In alcuni casi l’infezione può restare asintomatica nelle prime settimane o nei primi mesi di vita del bambino, in altri invece compaiono patologie transitorie (epatosplenomegalia, ittero, anemia).
Dopo le 20 settimane, ad ogni modo, si parla di sindrome della rosolia di grado lieve, che però è difficile da diagnosticare durante la gravidanza.
Infatti la presenza di alcune patologie non può essere accertata tramite le metodiche utilizzate in gravidanza. Con le ecografie si possono visualizzare ii difetti cardiaci e alcune patologie dell’occhio (es. cataratta in forma grave), ma la sordità e il ritardo mentale non possono essere diagnosticati in anticipo, così come le altre sequele sul sistema nervoso.
I ritardi di crescita e i problemi acustici, infatti, possono apparire chiari anche dopo i due anni di vita del bambino.
Come abbiamo detto, la rosolia è una malattia trasmissibile per via aerea, quindi con le goccioline di saliva, gli starnuti, o semplicemente parlando in modo ravvicinato con una persona infetta.
Quindi una donna incinta, specie nelle prime settimane di gestazione, dovrebbe seguire qualche piccola semplice regola:
Ad ogni modo, l’unica vera forma di prevenzione che si ha a disposizione oggi resta il vaccino.
Il vaccino antirosolia è costituito dal virus in forma attenuata, incapace di provocare la rosolia, ma capace invece di stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi contro il virus.
Negli adulti è efficace fino al 90 % anche una sola somministrazione del vaccino.
Nei bambini sono necessari due richiami, uno a circa 15 mesi e uno a 5-6 anni.
Grazie al piano di vaccinazione dei bambini, i casi di rosolia sono diminuiti rispetto al passato. Fino al 1999 veniva somministrata una sola dose del vaccino alle bambine verso i 12-13 anni ma è stato in seguito notato che i casi non diminuivano.
Così si è istituito il cosiddetto vaccino trivalente, contro morbillo, parotite e rosolia che viene somministrato, facoltativamente, a tutti i bimbi intorno ai 15 mesi di vita, con una seconda somministrazione verso i 5-6 anni di età.
Questo piano ha contribuito a ridurre il rischio di infezione tra i bambini e quindi anche delle loro mamme in attesa di un fratellino.
Resta ad ogni modo una fetta di popolazione femminile che non è vaccinata e non ha mai contratto la rosolia. In questo caso come è bene comportarsi?
Se si decide di pianificare una gravidanza, è bene rivolgersi al proprio medico per fare una serie di esami preconcezionali, tra i quali è presente il rubeo test (il test di ricerca degli anticorpi anti rosolia di cui abbiamo parlato precedentemente) o un esame più completo, che prende il nome di complesso TORCH.
Questo esame, che si effettua con un banale prelievo di sangue, viene utilizzato come screening per verificare se la donna ha avuto delle malattie che possono diventare pericolose se contratte in gravidanza: toxoplasma gondii, rosolia, citomegalovirus e herpes simplex.
Approfondisci le modalità di trasmissione ed i rischi della toxoplasmosi in gravidanza.
Essendo la rosolia una malattia che talvolta, come abbiamo visto, decorre in modo quasi asintomatico, è possibile che la donna l’abbia contratta senza saperlo, quindi prima della vaccinazione il test è consigliabile. Anche perché gran parte delle donne non sanno se durante l’infanzia sono state vaccinate o se hanno contratto la malattia in passato.
Se il test risulta positivo, la donna è protetta e quindi non è necessario intraprendere nessuna azione in funzione della salvaguardia della sua futura gravidanza.
Al contrario, se il test è negativo, è possibile prospettare alla donna il vaccino per la rosolia, che può essere somministrato anche in età adulta e in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale. Dopo il vaccino, è necessario attendere almeno un mese prima di poter provare ad avere una gravidanza.
Nel caso in cui la donna non sia protetta ma sia gravida, è sconsigliato fare il vaccino durante la gestazione.
E’ preferibile invece attendere il termine della gravidanza, evitando tutte le possibili fonti di contagio, e somministrare il vaccino dopo il parto. In questo modo avrà l’immunità permanente dalla malattia e proteggerà dal contagio eventuali figli futuri.
Il vaccino resta dunque l’unica via di prevenzione affidabile.
Non vi sono trattamenti possibili per fermare il decorso della malattia né per impedire che il virus arrivi al feto, se la mamma è venuta a contatto con una possibile fonte di contagio.
La rosolia farà il suo decorso ed essendo una infezione virale, ribadiamo che nessun antibiotico può essere utilizzato come terapia.
Si raccomanda alla paziente il riposo, una dieta leggera ricca di zuccheri e liquidi, di evitare colpi di freddo specie se è presente la febbre. La malattia evolverà spontaneamente anche perché in genere la febbre non raggiunge picchi molto elevati.
Valutando, inoltre, i valori delle immunoglobuline, è possibile anche capire da quanto tempo la malattia è stata contratta, se recentemente o nei mesi precedenti.
Una volta stabilito questo, i futuri genitori dovrebbero essere informati su tutti i rischi e le patologie che il feto potrebbe sviluppare e dovrebbero considerare, qualora lo ritenessero opportuno e se il contagio è avvenuto nel periodo cruciale, una eventuale interruzione di gravidanza.
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